ROMA – «La decarbonizzazione nello shipping è un problema notevole, perché è un settore hard to abate. I settori più difficili da decarbonizzare sono due: il mondo dello shipping ed il trasporto aereo, perché non sono collegati costantemente, anzi quasi mai, con le fonti di energia che li devono consentire di muoversi» – Ne è convinto Ugo Salerno, presidente esecutivo RINA: «La decarbonizzazione è veramente la sfida dell’umanità, perché se non riusciremo a raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti e, che ci hanno posto gli organismi internazionali, renderemo invivibile il nostro Pianeta, quindi abbiamo dei problemi come umanità».
Leggi anche: Assarmatori: “Proteggiamo il trasporto marittimo e il Mediterraneo da un regime di tassazione”
Il presidente esecutivo del RINA è intervenuto per Corriere marittimo al termine del Meeting annuale di Assarmatori, dove ha partecipato al confronto con i maggiori vettori nazionali e globali del settore – oltre al RINA, ENI e MSC – e i rappresentanti di governo, nazionale e maltese – dando un contributo di indirizzo agli armatori e alla filiera in merito alle scelte da compiere in termini di tecnologie e carburanti marittimi low carbon e green.
«Quello che si cercava di fare oggi» – ha commentato Salerno – «ma secondo me siamo ancora non vicini ad una soluzione, è di trovare una soluzione o, pochissime soluzioni, che possano andare bene per tutto il mondo dello shipping». La scelta indicata in apertura dal presidente dell’associazione degli armatori, Stefano Messina, è stata chiara: “Puntiamo su Gnl e Biocarburante, prevalentemente sul Gnl» – ha detto.
Presidente Salerno, ha detto che non siamo vicini ad una sola soluzione o a poche soluzioni per tutto il settore, pertanto come si affrontano le diverse problematiche?
«Intanto dobbiamo tener conto che le problematiche dello shipping a lungo raggio e quelle dello shipping a breve raggio sono diverse. Lo shipping a lungo raggio ha la possibilità di scegliere i porti dove rifornirsi perche ha delle rotte molto più ampie, toccando molte più aree.
Mentre lo shipping a breve raggio, che molto spesso è legato a delle linee, ha la possibilità di rifornirsi in pochissimi porti, almeno di non fare deviazioni che renderebbero impossibile la competitività.
Per quanto riguarda lo shipping a lungo raggio, sicuramente quella che si chiama neutralità tecnologica è da accettare e da spingere, perché noi dobbiamo avere una transizione energetica che ci dice che nel 2050 dovremo smettere di emettere, o perlomeno di diventare neutri. In questo tempo noi dobbiamo trovare delle soluzioni, oggi non c’è una soluzione unica.
Se io dovessi essere un armatore, probabilmente oggi farei le navi a Lng, ma sappiamo che poi dovremo gestirlo in modo da ridurre le emissioni, questo vuol dire avere per esempio degli impianti a bordo che possano catturare la CO2, oppure degli impianti a bordo che possano produrre idrogeno, attraverso l’Lng».
Le altre soluzioni?
«Ce ne sono tante altre, ovviamente i biocombustibili sono i più facili da utilizzare perché si utilizzano con i motori di oggi, però non sono facilmente disponibili e il costo è alto».
Parliamo dei costi della decarbonizzazione?
«Dobbiamo sfatare un mito: la decarbonizzazione non si fa gratis, ma la decarbonizzazione costerà, la cosa fondamentale è che costi per tutti uguale, cioè che lasci un “level playing field”. Quindi se dovranno salire i costi saliranno per tutti, per noi consumatori, per le aziende armatoriali e di trasporto, quindi per tutti. L’importante è che non ci siano degli squilibri, perché per esempio se noi favoriamo il trasporto su gomma rispetto al trasporto marittimo facciamo un disastro, perché a quel punto non solo danneggiamo gli armatori, ma il problema è che danneggiamo l’ambiente perché il trasporto marittimo è sicuramente quello che ha più efficienza energetica».
Quali conclusioni possiamo trarre?
«Le conclusioni sono che intanto dobbiamo cercare di utilizzare, per quanto possibile, il fondo per l’innovazione per migliorare tecnologicamente le nostre navi perché consumino di meno, poi incominciare a trovare delle soluzioni che siano delle soluzioni di transizione, perché questa durerà ancora altri 25 anni.
Le soluzioni di transizione che possono essere usate sono: Lng, biocarburanti e a mano a mano capire se per esempio arriveranno i combustibili sintetici, che arriveranno con la cattura della CO2, sebbene dobbiamo fare dei ragionamenti se questi sono completamente neutri, oppure non lo sono, però per ora i combustibili sintetici non ci sono. Faremo una strada a passettini sapendo che i tempi ci sono, purché partiamo da subito a decarbonizzare».
MSC ha parlato di “green corridor” in sede di Assemblea, come commenta il tema?
«Il green corridor è un cosa finta, è una rotta su cui le navi trovano dei combustibili o delle fonti di energia che permettono di decarbonizzare oggi al massimo delle possibilità e, completamente in futuro. Questi però non sono la soluzione, ma sono un pezzettino della soluzione, perché le navi da trasporto commerciale, meno i contenitori che tengono delle linee, ma soprattutto le bulk carrier e le navi cisterna, che sono un numero immenso, difficilmente hanno delle rotte definite, forse le più grandi che fanno Brasile-Cina, ma queste navi non riescono a lavorare nei green corridor, quindi dobbiamo dargli la possibilità di approvvigionarsi di energia in parecchi posti del mondo».
Il problema della competitività dei porti del Mediterraneo riguardo alla decarbonizzazione, quali sono i principali aspetti?
«In questo momento il Mediterraneo è sfavorito rispetto al Nord Europa perché ha perso il vantaggio di Suez. Le norme europee penalizzano tutti i porti europei, perché costringe gli armatori a pagare una tassa che non pagherebbero da altre parti. Oppure possono superare gran parte della tassa fermandosi vicino all’Europa, dove la tassa non si paga, facendo una parte del viaggio finale con il transhipment nel caso dei contenitori.
I porti del Nord Europa forse sentono meno questo problema, i nostri porti oggi sono penalizzati dalla perdita di vantaggio competitivo che avevano e che si recupera con l’efficienza, magari anche liberando i Canale di Suez e il Mar Rosso, speriamo in tempi ragionevoli.
Però è una spinta ai nostri porti per aumentare la competitività, perché dobbiamo poter competere ad armi pari con i porti del Nord Europa, c’è da fare una rivisitazione profondissima del sistema portuale, in particolare di quello italiano, perché se pensiamo che nel Nord Europa ci sono pochi accosti molto potenti e in italia ce ne sono una ventina, è chiaro che la nostra competitività non potrà mai esserci».