“Correttivo Porti”: Il percorso e le riflessioni

Lavoro portuale
di Gaudenzio Parenti
 
ROMA – Con i testi licenziati dalle rispettive Commissioni Trasporti di Camera e Senato ci stiamo avviando al varo del “Correttivo Porti” che andrà ad esaurire quel pacchetto di leggi di Riforma necessarie alla portualità italiana per i prossimi anni così da proiettarla verso il futuro. Una riforma fortemente voluta dal ministro delle Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio, che nelle intenzioni doterà la portualità di quegli strumenti giuridici, amministrativi e finanziari che si attendevano da anni. Negli ultimi trenta anni la portualità italiana ha già vissuto stagioni di riforme che ne hanno modellato e cambiato il volto.
 
Analizzando più propriamente e specificatamente l’ambito della governance portuale, un impulso fondamentale verso l’efficienza e la privatizzazione dei servizi e delle operazioni portuali è stato dato dalla Sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea del 1991, comunemente denominata “Sentenza porto di Genova I”. La famosa causa(C-179/90) che vedeva la società “Siderurgica Gabrielli” contro la “Merci Convenzionali Porto di Genova”, nel cui dispositivo la Corte di Giustizia ha affermato che i porti non rientrano nell’ambito applicativo dell’articolo 84.2 del Trattato CE e, di conseguenza, sono soggetti alle regole sulla concorrenza e ai principi generali vigenti della normativa comunitaria delineati dallo stesso Trattato CE.
A seguito di questa pronuncia della Corte, i paesi membri, e tra essi l’Italia, si sono posti il problema di disciplinare con nuove norme la materia portuale, al fine di adeguare gli ordinamenti preesistenti ai principi fondanti, come la concorrenza, espressi nella citata sentenza.
 
Da questo punto in poi, il ruolo dello Stato non è stato più quello di “gestore” ma di “regolatore del mercato” all’interno dei porti. Lo Stato regola l’operato di tutti gli stakeholders del mercato portuale ed é garante dei principi cardine comunitari di concorrenza e trasparenza.
Non è errato affermare che la riforma del 1994 é stata adottata grazie ad una “spinta giurisprudenziale” e alla consapevolezza dell’inarrestabile evoluzione del mercato verso nuovi sistemi di trasporto marittimo, che rendeva indifferibile l’adeguamento delle discipline portuali alle nuove esigenze, pena il progressivo declino dell’intero sistema portuale nazionale, che sarebbe risultato entro pochi anni inevitabilmente perdente nella competizione con i sistemi dei paesi nord europei ed anche mediterranei, più sensibili alle nuove esigenze e veloci nell’adeguarsi ad esse.
 
Lo Stato ha perciò cessato di essere “gestore” per assumere il ruolo di “regolatore” dei servizi e delle operazioni portuali.
Il modello portuale venuto a definirsi con l’introduzione della riforma è caratterizzato da un moderno sistema orientato a criteri di carattere aziendalistico, teso al raggiungimento di risultati positivi sia in termini di competitività assoluta che in termini di riduzione del gap qualitativo e quantitativo con gli scali  del Nord Europa, all’avanguardia perché dotati già da decenni di una gestione improntata ai criteri di efficienza e competitività imposti dalla moderna economia del traffico marittimo.
Con questo scopo precipuo la legge n. 84 del 1994 soppresse i vecchi organismi portuali (Enti, Consorzi, Provveditorati e Aziende dei Mezzi Meccanici e Magazzini) e individuò una serie di porti introducendo per il governo degli stessi  il sistema di gestione denominato Landlord Port (caratterizzato dalla netta separazione tra le funzioni di programmazione e controllo del territorio e delle infrastrutture portuali) ed affidandone il controllo ad un soggetto pubblico, le Autorità portuali, enti dotati di personalità giuridica di diritto pubblico e soggetti a vigilanza ministeriale.  Un’amplificazione delle funzioni di regolamentazione e controllo e con la conseguente accentuazione della separazione delle attività gestionali da quelle economiche.
 
L’Italia, quindi, si è allontanata sempre di più dal modello Tool Port, (nel quale l’ente si occupa della creazione e della gestione delle infrastrutture) e da quello di Operating Port, (nel quale il gestore, oltre che creare e gestire le infrastrutture, provvede anche ad eseguire operazioni portuali).
Ma ciò non era più sufficiente  a garantire che la portualità italiana fosse al passo coi tempi, in un’economia globale sempre più veloce. Questi motivi, l’ammodernamento della governance del sistema portuale e la costruzione di un più efficiente ed efficace sistema di gestione dei beni portuali, sono stati il motore principale della elaborazione del nuovo Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica (PSNPL).
 
Nell’estate del 2015 il Governo, su proposta del MIT, ha approvato il “Piano strategico nazionale della Portualità e della Logistica” (PSNPL), le cui tematiche vedranno la luce, un anno dopo, con lo strumento attuativo del Decreto legislativo n.169/2016 che va a modificare profondamente la portualità in italiana.
Il provvedimento è nato a seguito dell’attuazione dell’articolo 29 del decreto legge 133/2014, convertito con modificazioni dalla legge 164/2014, (meglio conosciuta come “Sblocca Italia”) che, nelle intenzioni dei redattori, ha il compito di spingere il Paese verso la crescita economica facendo leva in maniera strategica sul rafforzamento della competitività dell’intero sistema portuale e logistico italiano.
Questo è il grande merito del ministro Delrio: aver riportato finalmente la portualità e la logistica al centro degli interessi nazionali.
I nuovi modelli di gestione dei beni e della governance declinati dal Piano prima e dal Decreto legislativo poi, nelle intenzioni del legislatore devono contrastare la perdita di competitività che l’Italia sta subendo, come è dimostrato dal differenziale di crescita tra i porti del Mediterraneo a fronte di un aumento generalizzato dei traffici nell’area.
Infatti, mentre la portualità e la logistica marittima globale si evolvono rapidamente e secondo paradigmi organizzativi, economici ed industriali sempre più complessi, l’Italia non aveva ancora messo a punto una strategia marittimo-portuale organica, coerente ed integrata.
Nello specifico, il Piano individuava, per la prima volta, nella indifferenziata dimensione “mono-scalo”  il  settore su cui intervenire con maggiore incisività e innovazione, poiché tale assetto aveva prodotto nel tempo delle diseconomie gestionali e in particolare l’inefficiente allocazione delle risorse e degli investimenti.
Per evitare dannosi fenomeni concorrenziali viene quindi proposto un nuovo modello di governance: l’ Autorità di Sistema Portuale (AdSP). Il nuovo “super Ente” con competenza non più sul singolo porto, o su un piccolo network di porti, ma su un intero territorio costiero, a volte anche piuttosto ampio.
Questo nuovo modello di governance dei porti italiani, introdotto dal D.lgs n. 169/2016, ha determinato il superamento della dimensione mono-scalo degli organi di governo dei porti per approdare alla creazione di strutture di governo unitarie per “sistemi portuali multi-scalo” che consentano di ottimizzare le infrastrutture, gli spazi e le connessioni lato mare / lato terra già esistenti.
In più, sempre nel solco delle intenzioni riformatrici del Legislatore, sono in via di attuazione unioni e accordi di interesse e di strategie tra diverse Autorità di Sistema portuale per creare macro-sistemi portuali e territoriali che grazie a più efficienti economie di scala possono “aggredire” i competitors del Northern range e del Mediterraneo.
Strettamente legata ai temi dell’efficienza e della competitività è la nuova Conferenza Nazionale di Coordinamento delle Autorità di Sistema Portuale, introdotta e novellata dal D.lgs n.169/2016.
 
Attorno ad essa ruotano le decisioni per gli investimenti e le infrastrutture dei porti, evitando di fatto una “balcanizzazione” delle opere, con notevole dispendio di denaro pubblico per infrastrutture inutili o addirittura paradossalmente dannose al Sistema Portuale Italia.
Ormai non si può più ragionare in maniera campanilistica.  La guerra tra i porti o i sistemi portuali vicini è anacronistica.  Fare squadra e sistema è l’unica via per aggredire i traffici del Northern range o del Mediterraneo nord africano.
Significative in questo senso sono le parole espresse dal ministro Delrio in apertura della prima seduta in data 24 luglio scorso. in cui ha sottolineato come la Conferenza sia  il luogo in cui si concretizza il principio cardine della riforma: far lavorare le AdSP come un unico sistema portuale nazionale, in un’ottica di cooperazione e non di competizione.
 

 

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