ROMA –“Ci sono voluti dieci anni per farla, ora speriamo che non ne siano necessari altrettanti per renderla esecutiva e applicarla compiutamente”. Per Gian Enzo Duci, gli ultimi e ormai quasi quotidiani segnali che arrivano dalla portualità nazionale giustificano oggi un forte allarme sugli esiti e l’efficacia della riforma portuale varata ormai più di sei mesi fa dal governo ed eufemisticamente ancora oggi “in mezzo al guado”.
Secondo il presidente di Federagenti i ritardi riguardano l’intera impalcatura della riforma che segna il passo su diversi fronti. Con 6/7 porti ancora in ricerca di un presidente, sembrano riemergere drammaticamente logiche di carattere puramente politico per posizioni che richiederebbe oggi soggetti dotati – come la riforma prevede – di professionalità ed esperienza incontestabili.
Ciò riguarda i vertici delle Autorità portuali di sistema, ma anche i Comitati di gestione che, salvo rare eccezioni (e fra queste registriamo con piacere quella di Umberto Masucci che ha rinunciato ai suoi incarichi di imprenditore privato per partecipare al difficile sforzo di rilancio del porto di Napoli), propongono scelte qualitativamente discutibili.
Da un punto di vista formale lo spostamento delle categorie produttive dall’organo decisionale, il Comitato Portuale, ad uno consultivo, il Tavolo di partenariato, sembrerebbe una riduzione del peso del “privato” rispetto al “pubblico” nella governance portuale; tuttavia io credo che questa sia una partita ancora tutta da giocare. In linea teorica i tavoli di partenariato, se gestiti in maniera corretta, potrebbero garantire un peso specifico notevole agli imprenditori privati, un peso forse maggiore di quello di sostanziali testimoni che avevano nei Comitati portuali di cui, non si dimentichi, incarnavano la minoranza di voto (rispetto a soggetti pubblici e sindacati). Ma il partenariato, applicato per anni in Francia e oggetto oggi proprio oltre frontiera di una profonda revisione critica, richiede una sperimentazione complessa e un’applicazione rigorosa. E di certo – sottolinea Duci – non si è partiti con il piede giusto; lo stesso vale per il tanto enfatizzato tavolo nazionale di coordinamento delle scelte”.
Secondo Federagenti questo tavolo, finora inesistente, del quale non si conoscono neppure i nomi dei componenti ministeriali, sta già diventando il terreno per una rissa fra categorie alla ricerca di poltrone e ruoli.
“E tutto ciò – conclude Duci – accade in un momento a dir poco complesso della portualità mondiale e italiana, travolte dal fenomeno delle concentrazioni, dall’ingresso in forza di Fondi di investimento e da una rivoluzione di mercato i cui effetti andrebbero come minimo gestiti dalle Autorità di sistema portuale”.