Riforma portuale, Santi (Federagenti): L’Italia segua un modello autonomo dagli schemi europei

Alessandro Santi

TARANTO – “La grande sfida di Porto Italia” è il titolo, provocatorio, dell’Assemblea annuale di Federagenti scelto dal presidente Alessandro Santi, che si è svolta a Taranto  il 20 ottobre. Una mattinata di dibattiti che ha visto la presenza dei rappresentanti del cluster marittimo portuale e il punto di vista di riferimento del professor Giulio Sapelli, politico dell’economia, la presenza di rappresentanti del governo, il viceministro Rixi (MIT) e il ministro Musumeci (ministero del Mare).

Dall’assemblea la relazione del presidente Santi ha indicato la direzione da seguire per la politica portuale italiana, come asset strategico del Paese: “Oggi parlare di futuro è estremamente complesso” – ha detto – “però la nostra responsabilità è di portare un contributo di chi sta facendo scelte importanti, creando un identikit secondo il nostro punto di vista che è quello di banchina, dove nasciamo, e che ci ha permesso di avere una visione di neutralità per cercare di risolvere i problemi”. Così come sul tema della riforma portuale l’obiettivo della categoria e dell’assemblea è quello di “riportare alla sostanza vedendo che i tempi si stanno dilatando”.

L’Italia deve scegliere autonomamente la formula di politica portuale che deve perseguire, secondo il presidente di Federagenti il Paese non deve guardare a schemi di politica portuale estera, non si deve riferire ai modelli del Nord Europa oppure al  modello mediterraneo della Spagna, poichè questo non sarebbero adeguati al livello di sfida che l’Italia ha le potenzialità di vincere.

Pertanto la rotta tracciata dall’Assemblea è quella di una portualità diffusa lungo tutte le coste italiane, che trovi sintesi decisionale e strategica in una cabina di regia nazionale pubblico-privati in grado di fornire indicazioni di priorità strategica anche in tema di infrastrutture, di logistica indotta, di governance

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“Una cabina di regia che si muova – ha detto Santi – su una visione unitaria e centrale, un controllo statale della risorsa demaniale e delle scelte strategiche su di essa attraverso un modello da applicare che sia personalizzato, “made in Italy’ potremmo dire, che sappia cioè cogliere le peculiarità italiane e le opportunità che derivano da esperienze di altri paesi senza esserne soggiogati”.

“Abbiamo bisogno di una più forte collaborazione ed interazione tra pubblico e privato sia a livello di investimenti strategici (nel perimetro dello strumento concessorio) che a livello di governance delle AdSP; abbiamo bisogno di una regia nazionale in seno al MIT che diventi la cabina di regia operativa per le AdSP, che ne garantisca efficienza e coordinamento, armonizzazione delle regole per una giusta competizione e cooperazione tra le AdSP, soprattutto in questo momento dove il fenomeno della verticalizzazione è sempre più spinto, che sappia derimere ed eliminare sovrapposizioni di competenze (ART, AGCM, ANAC, MIT), garantire percorsi normativi standard per procedure ricorrenti, ad esempio tutte le pratiche di autorizzazione ambientale, farsi interfaccia del CIPOM in maniera bidirezionale per l’attuazione del piano del Mare per la parte della portualità”.

Sul tema delle Autorità di Sistema Portuale, il nostro Paese dare il proprio modello di porto diffuso con coordinamento centrale ‘operativo’ condiviso tra pubblico e privato con funzioni di regolazione e armonizzazione: esattamente “Porto Italia”. Questo anche per fare fronte ai tentativi neanche così occulti dell’asse tedesco-olandese di concentrare tutti i traffici al nord Europa, e delegando il Mediterraneo ad una funzione di una specie di nastro trasportatore delle merci dal Nord Europa all’Italia, e lasciando al Sud Europa il compito di “decarbonizzare” il Mediterraneo.

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