di Lucia Nappi
RAVENNA– “The Belt and the Road initiative for international cooperation” è l’ultima definizione data, lo scorso anno, dal governo cinese a quella che inizialmente si chiamava “Via della Seta” e che in seguito era stata chiamata “One Belt One Road”. Lo spiega Gian Enzo Duci, presidente di Federagenti, all’Assemblea Nazionale di Ravenna. “Siamo nella logica di cooperazione non nella logica della competizione” sottolinea il presidente di Federagenti, “L’iniziativa dei cinesi è di cooperazione internazionale, l’ultima cartina che i cinesi stanno pubblicando passa indistintamente nel Mediterraneo, adesso sta a questi porti di cogliere l’opportunità di collegarsi”. La cooperazione internazionale schiude quindi delle opportunità, Federagenti, per voce del suo presidente, passa la palla alla politica che ha il ruolo di sviluppare le strategie necessarie per sfruttare al meglio le potenzialità che il mercato offre. Dalla platea dell‘Assemblea Duci traccia la strada da seguire e invita a riflettere su alcuni aspetti:
La cooperazione:
Come può interloquire il nostro paese con i grandi paesi del mondo? Secondo il presidente di Federagenti “l‘Italia può costituire un soggetto composto da tanti piccoli soggetti che, messi insieme, fanno massa critica e gli consente di sedersi al tavolo con i grandi internazionali”. Questo era il concetto già emerso nel dicembre scorso, in seno alla assemblea annuale intitolata “Cercasi campioni” e da qui si riparte: Creare un sistema marittimo portuale coordinato che definisca le strategie e nel lungo termine mantenga gli impegni presi.
I dati parlano chiaro, gli investimenti che i cinesi hanno fatto in Italia negli ultimi anni possono fare da leva di un sistema in rapidissima crescita: 1 miliardo di euro nel 2013 che sono arrivati ad essere 11 miliardi all’inizio del 2017. “Avere credibilità per questi mercati e nei confronti di questo soggetto decisore può generare delle leve anche per la portualità italiana”.
Traffico container:
L’indicazione è quella di leggere con più attenzione i dati del nostro sistema portuale, soprattutto legato ai traffici di container, che evidenziano un andamento di crescita per i porti gateway e di perdita degli scali di transhipment. Nell‘ultimo decennio i porti gateway hanno avuto 2% di crescita che è maggiore rispetto al nostro PIL, un andamento diverso rispetto ai porti del Nord Europa che sono cresciuti in maniera identica rispetto al loro prodotto interno lordo. Il sistema del transhipment invece è stato messo in crisi dalle grandi compagnie di navigazione che “per tagliare i costi saltavano il transhipment ed andavano direttamente ai porti gateway”. La visione previsionale che individua Duci è che questa tendenza avrà un termine: “Non appena le compagnie di navigazione avranno superato questo limite oggettivo, derivato dall’overcapacity della flotta, ci arriveremo anche abbastanza veloce anche se il prezzo del combustibile dovesse rimanere come le attese dicono, allora il transhipment in futuro tornerà ad essere la modalità centrale della strategia per le grandi compagnie”.
E’ in questo momento che la politica dovrà intervenire: “Non possiamo permetterci di avere più porti di transhipment, abbiamo bisogno di un singolo porto di transhipment, e dobbiamo essere capaci di leggere le vocazioni dei singoli porti italiani”.
Non si vive di solo container:
Il container è il 51% del valore della merce che si muove a livello mondiale, è fondamentale avere quindi questo sistema di trasporto, ma la flotta mondiale dedita a container è il 18%, quindi l’82% della flotta mondiale è di altra tipologia. La tipologia navale più presente in Italia, in questo momento, è il carico liquido. Questo settore è in rapida trasformazione, i paesi produttori di greggio raffinano ed esportano i prodotti finiti, la necessità è quindi quella di intercettare quei traffici senza contrapporsi alle esigenze ambientali. “La geografia del petrolio è cambiata e il nostro sistema portuale per quei traffici è legata a un modello vecchio”. Spiega il presidente di Federagenti: “Ci vuole un percorso nuovo che coniughi le esigenze dell’economia, della sicurezza e dell’ambiente devono essere approcciati in maniera condivisa nel nostro paese. Se ad oggi non è stata fatta una politica sui carichi liquidi nel nostro paese è perché le associazioni ambientaliste son pronte a contrapporsi. “Dobbiamo fare salto qualitativo un percorso nuovo come sta facendo l’Europa elaborando modalità nuove”.
La riforma portuale:
Per quanto riguarda la riforma portuale, Duci evidenzia i rischi connessi con quella che ha definito “la stampella Delrio”: nel sottolineare lo sforzo e l’attenzione del ministro e del suo staff alle tematiche del settore marittimo e portuale, il presidente Duci espone i pericoli connessi con un futuro cambio di governo “Finalmente abbiamo dopo anni una strategia marittimo portuale organica. Il giorno che il ministro Delrio non dovesse essere più in carica rischiamo di ripiombare ad un livello di interlocuzione a cui ormai non siamo più abituati”. Da qui la necessità di portare a termine quello che ancora nella riforma manca: la creazione di una struttura ministeriale, una direzione porti e logistica, che organicamente pervenga al lavoro di gestione e suddivisione delle risorse per il settore.
In conclusione, il presidente di Federagenti ha sottolineato come la categoria degli agenti e raccomandatari marittimi sia tutt’altro che una razza in estinzione. È vero il contrario: non appena nei porti la legge di riforma del ‘94 ha cambiato le regole del gioco, alcuni fra i maggiori agenti marittimi sono stati i primi a trasformarsi in terminalisti. Nel settore della grande nautica, le più moderne marine per grandi yacht sono nate su iniziativa di agenti e anche la multinazionale del management delle navi è figlia di un’agenzia marittima di Genova. Prove tutte di una capacità camaleontica degli agenti marittimi di trasformarsi, adattarsi ai tempi e al mercato e di svolgere un ruolo strategico anche per la sicurezza economica del sistema paese.