ROMA– Manuel Grimaldi, presidente di Confitarma, ha pubblicato il seguente articolo sull’ultimo numero di TTM – Tecnologie Trasporti e Mare. Ecco di seguito l’intervento del presidente Grimaldi:
“Oltre alla grave crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007-2008, lo shipping risente dell’impatto di eventi straordinari quali quelli verificatisi nel 2016: atti terroristici in Europa, guerra in Siria, crisi umanitaria nel Mediterraneo, tentato colpo di stato in Turchia, crisi delle banche, rallentamento in Cina e indebolimento delle economie di molti paesi in via di sviluppo. Non meno importanti sono gli eventi politici, Brexit, la nuova amministrazione USA guidata da Trump e, prossime elezioni presidenziali in Francia e politiche in Germania, crisi greca non ancora risolta, Unione europea che appare spesso disunita e indebolita, specie di fronte all’emergenza migratoria. Nella generale tendenza al ribasso dei mercati marittimi che deriva dalla crisi, nel settore delle rinfuse e delle porta-contenitori la debole crescita della domanda si combina con l’eccesso di offerta di naviglio, facendo registrare – specie per i carichi secchi – il perdurante andamento negativo dei noli. Il fallimento della società coreana Hanjin è emblematico degli effetti della crisi.
In questo contesto, nonostante le flessioni registrate negli ultimi anni, la flotta mercantile italiana, con oltre 16,5 milioni di tonnellate, è sempre nelle prime posizioni: seconda nell’Unione europea, terza tra le flotte dei maggiori Paesi riuniti nel G20 e quarta al mondo.Rilevante la situazione dei comparti delle crociere e dei traghetti ro-ro. Gli ultimi dati confermano che nel 2015 il contributo economico ed occupazionale generato in Europa dall’industria delle crociere è stato di 41 miliardi di euro e di 360.000 addetti. Da rilevare che l’Italia è leader nel settore con 4,5 miliardi spesi e 103.000 addetti occupati. Senza trascurare l’eccellenza dei cantieri italiani, leader in Europa e nel mondo nella costruzione di navi da crociera, con evidenti ritorni economici e occupazionali per il Paese. Due soli numeri: 21 navi ordinate e quasi 12 miliardi di dollari investiti.
Inoltre, l’Italia è la prima al mondo nella graduatoria delle principali flotte di navi ferry e ro-ro pax, con 250 unità per più di 5 milioni di tonnellate di stazza su un totale di circa 28 milioni di gt. Anche questo comparto traina la cantieristica nazionale, prima in Europa e seconda al mondo per tonnellate e per metri lineari. Seconda e terza invece, per quanto riguarda la capacità passeggeri.
La competitività della flotta italiana è stata rafforzata e mantenuta, grazie a misure che hanno consentito ai nostri armatori di fronteggiare ad armi pari la concorrenza estera di marine sia comunitarie che extra-comunitarie. Dal 1998 al 2015, la flotta mercantile italiana è passata da 7,8 milioni di tonnellate di stazza a 16,5. L’occupazione marittima è passata da 30.000 a 63.000 unità. Una crescita costante, fin quando negli ultimi anni la crisi ha fatto sentire i suoi effetti anche nel nostro comparto, che comunque si mantiene su valori più che raddoppiati rispetto a 19 anni fa.
Ciò che ha consentito allo shipping nazionale di crescere così tanto in relativamente poco tempo è stata l’istituzione del Registro internazionale che, nel 1998, rappresentò un punto di svolta qualificante della politica marittima italiana, secondo quanto previsto dalle linee-guida della Commissione europea. Linee-guida tuttora efficaci e lungimiranti che hanno consentito alla flotta europea di essere oggi il primo vettore del mondo. Il contenuto della riforma della navigazione internazionale del 1998 può essere riassunto in una sola parola: FLESSIBILITA’.
Quando si riduce la flessibilità operativa, con conseguente perdita di competitività, gli operatori, per sopravvivere non possono fare altro che aumentare i costi a scapito dell’utenza. Sicché, cambiare un sistema normativo coerente e fondato sulla certezza del diritto comunitario e nazionale, in vigore ormai da quasi 20 anni e che ha consentito allo shipping italiano un successo senza precedenti anche, e soprattutto, in campo occupazionale è molto rischioso perché non si creerebbero vantaggi per alcuno, ma danni per tutti: armatori, marittimi e utenza, in pratica per l’intero sistema Paese.
Inutile negare le difficoltà che anche il settore marittimo sta affrontando in questa fase di doloroso cambiamento. Si sa che alcune aziende armatoriali non sono sopravvissute alla battaglia ed altre hanno riportato profonde ferite. Nonostante ciò, il nostro settore nel suo insieme ha tenuto e siamo convinti che crescerà ancora, in un mondo comunque sempre più veloce e dinamico, ove la distanza economica ha definitivamente soppiantato quella geografica e le relazioni commerciali sono al centro della globalizzazione.”