GENOVA – «L’Ets ha un impatto sul settore dello shipping che nel 2024 è di 6-7 miliardi di euro. Quando lo strumento entrerà a regime, e al 2026 parliamo di un impatto stimato di 15-18 mld di euro». Importi significativi che gli armatori devono sostenere con l’impegno di decarbonizzare il settore, perchè l’Ets è stato visto come uno strumento per promuovere la decarbonizzazione.
Sono questi i dati presentati da Roberto Alberti chief corporate officer di Costa Crociere, sul palco della nave Costa Smeralda per l’evento de Il Sole 24 Ore “Economia del Mare”. Alberti ha evidenziato il punto di vista degli armatori, insieme a Confitarma e al gruppo Grimaldi, nel panel tecnico sull’impatto della tassazione europea Ets sul trasporto marittimo, moderato dal giornalista di settore, Raoul de Forcade.
«La movimentazione dei passeggeri rappresenta circa il 2% delle emissioni di tutto lo shipping» – ha specificato il cco di Costa Crociere – «e il settore delle crociere, in termini di Ets, è destinato a contribuire per 600 milioni di euro l’anno». «Questi 600 milioni che gli armatori crocieristici sostengono»– ha specificato Alberti – «fanno parte della gestione della nave, costi che non vengono trasferiti ai passeggeri» – ovvero che non ricadranno sul rincaro del costo della crociera per il passeggero – «ma rientrano nel rischio di gestione di impresa dell’armatore». Quindi l’Ets, visto come uno strumento per la decarbonizione del settore determina per l’armatore costi significativi da sostenere, ai quali si aggiunge anche la sfida della decarbonizzazione. Quindi ancora investimenti per «una combinazione di soluzioni, tutte costose» ovvero «nuove tecnologie, nuove navi, i retrofit, i fuel che oggi sono ancora in quantità limitata e a costi molto elevati. Sfide per le quali»- sottolinea il rappresentante di Costa Crociere: «è necessario ci sia un piano di funding da parte delle autorità».
Il tema centrale su cui tutto il settore del trasporto marittimo concorda, e in prima fila gli armatori, è il nebuloso meccanismo di ripartizione dei fondi che dovrebbero tornare indietro al settore. Questione spinosa e dubbio espresso dallo stesso viceministro Rixi, aprendo l’iniziativa: «non è stato ancora precisato come questi fondi vengono ripartiti» – ha detto – « la richiesta è che i soldi del marittimo tornino al marittimo». Un ritorno che, secondo il viceministro al MIT «deve essere fondamentalmente sugli investimenti per i carburanti alternativi e il potenziamento delle misure che consentono lo shift modale (in particolare Mare bonus» quindi in parte minore su tecnologia ed elettrificazione delle banchine.
Non perdendo l’occasione di ricordare che l’Italia è la nazione europea che sul marittimo versa più soldi per l’Ets, «quest’anno – sottolinea – siamo sopra i 400 milioni di fondi, ma arriverà a generare più di 1 miliardo di euro per l’Italia». In tutto ciò l’unica notizia positiva sulla gestione dei fondi è che «il Mit è riuscito ad essere incluso nel Comitato sulla ripartizione dei fondi».
Rixi inoltre non fa mistero di considerare un altro problema: «i fondi sono sulla partita corrente dello Stato, quella più difficile da recuperare a fine anno» – mentre – «Se arrivassero in partita corrente da riversare sul Mare bonus ed su altri sistemi di shift modale, potremmo garantire agli operatori 100 milioni all’anno per i prossimi 10 anni».
Per gli armatori Mariella Amoretti, vice presidente di Confitarma e amministratore delegato di Amoretti Armatori SpA, società che gestisce una flotta di navi tanker e chimichiere, fa presente le difficoltà degli aspetti commerciali e burocratici legati all’acquisto e restituzione della quota EUA, European Union Allowances, ovvero i titoli che certificano le emissioni, ogni singolo EUA rappresenta una quota di emissioni pari a 1 tonnellata di CO2.
«L’EUA la compriamo su un mercato finanziario e si presta ad oscillazioni e a speculazioni» dice – «se all’inizio di quest’anno costava 30-40 euro, oggi costa già 70 euro. Fare dei preventivi di quello che pagheremo tra 1-2 anni è difficile»- «Diventa un lavoro in più ed un rischio di impresa aggiuntivo, in un periodo in cui affrontiamo già la sfida della decarbonizzazione».
Nel settore ro-ro per il gruppo Grimaldi è proprio il concetto dell’Ets ad essere sbagliato, rimarca Paul Kyprianou, responsabile relazioni esterne: «Abbiamo fatto importanti investimenti negli ultimi anni 3-4 anni, la costruzione di una ventina di navi e altre 17 in costruzione» navi ro-ro e ro-pax sempre più grandi, di queste per esempio le navi della classe “Eco”- «Ma con l’Ets abbiamo il rischio di un back shift modale, tutto l’investimento che abbiamo fatto in questi 20 anni per sviluppare le Autostrade del Mare, rischiamo che parte di questo carico torni sulla strada»- «Perché siamo costretti a ribaltare il costo sul cliente e non tutti sono disponibili a pagare un costo maggiore».
A questo si aggiunge «il rischio che alcune linee si interrompano e si vada a operare su linee più brevi dove l’impatto dell’Ets è minore, oppure il nolo che viene pagato dal cliente, giustifica la traversata. Alcuni operatori dovranno ripensare alcune linee, questo riguarda sia il Mediterraneo che il Nord Europa».
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VAI AL VIDEO Paolo Moretti, CEO RINA Service: ETS, funzionamento del mercato delle emissioni